Requiem di Fauré in Re min op.48

Requiem di Fauré in Re min op.48

Venerdi 14 aprile, presso la Basilica di San Nicola, con inizio alle 21.15 si terrà un grande concerto, in occasione delle celebrazioni per la Pasqua, durante il quale verrà eseguito il ”Requiem” in Re min op.48 nella versione del 1888/93, di Gabriel Faurè.

Il Coro Polifonico “Città di Tolentino”, diretto da Aldo Cicconofri, si esibirà accompagnato da un ensemble strumentale di 12 elementi e con le voci soliste di Maura Gennaro come Soprano e di Matteo Pietrapiana, baritono.

Il concerto è ad ingresso gratuito, ma con prenotazione obbligatoria, grazie alla generosità degli amici sponsor che hanno reso possibile offrire al pubblico questo evento.

Il Coro ha accettato l’invito del Rotary Tolentino per una raccolta fondi in favore del progetto “Assistenza domiciliare degli anziani”, l’obiettivo è quello di permettere un’assistenza continuativa agli anziani, che ne hanno bisogno, direttamente presso la loro abitazione. Il concerto è Patrocinato dal Comune di Tolentino, Assessorato alla Cultura.

Descrizione dell’opera

Il Requiem fu composto tra il 1886 e il 1887 ed eseguito per la prima volta alla Madeleine, nel 1888.
Rimane l’unica opera di vaste dimensioni e con l’intervento dell’orchestra scritta dal compositore
francese per la chiesa. Fauré fece diverse orchestrazioni di quest’opera e ad ogni nuova versione
l’organico diventava sempre più grande. La versione che viene presentata in questa occasione è quella
del 1888, caratterizzata dall’orchestra composta da archi scuri ( viole, violoncelli, contrabbassi) uniti
all’arpa e all’organo, con interventi solistici di un violino. Il Requiem fu nuovamente eseguito alla
Madeleine nel 1924, per i funerali dell’autore.

Il Requiem di Fauré si distacca notevolmente dalle altre composizioni romantiche del genere: colpisce in
primo luogo il rifiuto a musicare il Dies irae, del quale invece sia Mozart che Berlioz e Verdi avevano fatto
il centro di un vero e proprio dramma religioso. Nel Requiem di Fauré è assente ogni violenza e ogni
contrasto; in esso prevale un sentimento di rassegnazione e di abbandono, a volte si potrebbe addirittura dire un desiderio di assenza e di silenzio: ha scritto un critico inglese, «Fauré ha centrato il
suo Requiem sull’idea dell’eterno riposo. Il suo lavoro comincia e finisce con la parola requiem, che è
d’altronde messa nel massimo rilievo ogni volta che ricorre nel testo. Sembra che Fauré abbia scelto i
brani della liturgia da musicare con il proposito di sottolineare quest’idea, visto che non solo cinque dei sette brani che compongono l’opera contengono la parola requiem, ma che in uno di essi (il Pie Jesu che sta al posto del Benedictus) aggiunge a quella la parola sempiternam ».

Nel Requiem di Fauré l’integrazione tra le voci corali, e quelle strumentali è perfetta. La loro fusione, che
esclude ogni contrapposizione, crea una particolare atmosfera sonora, della quale è componente
importante l’organo, usato in modo da sottolineare il timbro opaco e come velato.

Le due voci soliste compaiono nella seconda parte dell’Offertorio (Hostias et preces tibi) e nel Lìbera
me il baritono, nel Pie Jesu il soprano. Sono trattate in modo essenzialmente lirico, con piana e semplice
effusione melodica. Il Requiem è impregnato di un lirismo sommesso e intimo che rifugge da ogni esteriorità o urto violento di contrasti, ed è invece animato da una profonda melanconia.

La raffinatezza delle tinte, la sobrietà del canto, l’eleganza dell’esposizione, la discrezione del porgere
non nascondono nel Requiem dì Fauré la solitudine amara di chi ha preso coscienza della sconsolata
impotenza dell’uomo e ne esprime una dolente, equilibrata accettazione.

La distanza rispetto agli altri modelli di Requiem è ben evidenziata dalle parole dell’autore stesso: «Il mio
Requiem si dice che non esprima affatto lo sforzo della morte, al punto che qualcuno lo definisce una
“ninna-nanna” della morte, ma è cosi che io sento la morte, come un delirio felice, una aspirazione alla
felicità dell’aldilà piuttosto che come un passaggio doloroso. Bisogna accettare la natura dell’artista.
Forse, può essere che io qui abbia cercato, d’istinto, di uscire dalla convenzione. Certo, io ho voluto fare
un’altra cosa».

«Né devoto né scettico» si definiva lo stesso Fauré: in questo suo atteggiamento, così lontano dalle
passioni e dalle ribellioni prepotenti, e perciò ricche di fede e di forza, dei musicisti romantici, sta la
chiave della modernità o meglio dell’attualità della sua musica.